venerdì 12 giugno 2015

TORCE

di Barbara Magalotti

Sembra che quest'anno la stagione delle piogge non ne voglia proprio sapere di andare in vacanza! Così come il freddo non se ne è mai andato completamente e qualche strascico di pioggia con il suo seguito di giornate nuvolose lotta ancora contro il sole dell'autunno: insomma un gran mischione di stagioni.  E così, senza rendermene conto, è arrivato anche Aprile inoltrato… sono stati mesi molto “pieni” e densi di lavoro. La fatica è stata come sempre ricompensata con momenti speciali di rara intensità e commovente umanità.



Da fine febbraio ho iniziato un cineforum con i detenuti della Sezione Chonchocorito, che è la sezione di riabilitazione da sostanze (quella dove l'anno scorso avevo proposto il corso di italiano). I ragazzi sono davvero un DISASTRO! UN DELIRIO! Bisognerebbe scrivere un libro… Del disordine e del caos interiore.

Il primo giorno di cineforum, dacché dovevamo iniziare alle 9,00 abbiamo iniziato alle 10,30 – tanto per darvi un'idea della fantastica organizzazione! La sala dove avevamo deciso di vedere i film, in realtà è un dormitorio per circa 50 detenuti: di notte stendono i materassi di paglia sul pavimento, e di giorno li accatastano tutti lungo una parete… Bene, no problem! Io di sicuro non mi formalizzo… il problema è che, arrivata nella sala alle 9,10, i materassi erano ancora tutti belli stesi nella sala, e ancora qualche bell'addormentato ronfava rannicchiato sotto le coperte: UFFAAAAAAAAA! Ho cominciato a dire che me ne sarei andata e subito i ragazzi iscritti al cineforum hanno fatto sloggiare gli ultimi assonnati e hanno cercato in fretta e furia le sedie, che non bastavano. Morale della storia: ho fatto stendere i materassi di paglia e ci siamo accomodati tutti ai lati del salone, seduti sui materassi (se avessimo aspettato che comparissero tutte le sedie avremmo cominciato a mezzogiorno). 




Comunque, dopo quella mattina, abbiamo cambiato l'orario dell'incontro al pomeriggio. I partecipanti (circa una quarantina) sono tutti detenuti con alle spalle (o quasi…) problemi di dipendenza da sostanze (molti dei quali hanno iniziato a consumare in carcere), dunque il loro livello di attenzione è veramente pari a zero, e i più hanno gravi problemi di memoria; insomma alla fine della visione dei film, sempre preceduti da una mia breve introduzione con la descrizione a grandi linee della trama o degli argomenti trattati, le prime domande che mi fanno di getto sono “Come si chiamava il protagonista?” “Dov'è che era ambientato il film?” e ovviamente la stessa domanda rivoltami da qualcuno, mi viene fatta esattamente 2 secondi dopo da qualcun altro! Da qualche settimana però i miei ragazzacci hanno finalmente iniziato a leggere le fotocopie con le trame dei film e arrivano già preparati il mercoledì pomeriggio: era ora! Da un'iniziale “sbruffonaggine” di facciata delle prime volte, ora, dopo 5 incontri, si è creata una atmosfera di intimità e di affetto che ha addirittura unito il gruppo. Quando arrivo in sezione i ragazzi mi accolgono con dei sorrisi contenti che mi scaldano il cuore, gridando felici “È arrivata la Barbara!!”, subito qualcuno mi prepara la sedia o il posto su una panca e mi fa cenno di sedere vicina a lui. Durante la proiezione del film, nell'oscurità della sala, spesso mi sento toccare la spalla, bisbigliare all'orecchio e allungare fra le mani una mela, un biscotto, una caramella, un bicchiere di aranciata… Poi al termine del film cominciano i primi commenti alla rinfusa, ognuno parla a voce alta e copre quello che dicono gli altri, nel tentativo di attirare la mia attenzione: UN CASINO INFERNALE! Allora devo prendere in mano la situazione e cominciare a dare i turni. Effettivamente è una bella fatica, riuscire a portare il gruppo ad ascoltare senza interrompere chi vuole intervenire (e la cosa più divertente è quando sento dire sbuffando “Uffa, no, questo lo volevo dire io!”) però devo dire che nell'arco di questi quasi due mesi di incontri, si è creato un bel clima e come sempre succede, c'è un gruppetto di una decina/quindicina di partecipanti che si è proprio affezionato a questo appuntamento e mi porta regolarmente il compito scritto (una riflessione sull'ultimo film visto), oltre a dimostrarmi un grande affetto.


A Pasqua, abbiamo saltato un incontro. Quando ho detto loro che avrei viaggiato per fare una piccola vacanza, subito hanno fatto capannello intorno a me, quasi soffocandomi “Dove vai?” “Con chi vai?” “Vai con il tuo compagno?” “Quando torni?”– che tenerezza, ho risposto ad una ad una a tutte le domande e dissipato tutti i loro dubbi. Alcuni ragazzi imbronciati mi chiedevano “Non ci vediamo per due settimane?” “Ci mancherai tanto Barbarita, non sai quanto!” “Tu ti ricorderai di noi?”– ciliegina sulla torta, la processione di baci e abbracci con gli auguri più belli.

Uscendo da Chonchocorito avevo quasi le lacrime agli occhi per la commozione. Questi ragazzacci sgangherati mi danno delle emozioni veramente forti e hanno il potere di mettermi di buon umore, di farmi sentire coccolata e amata, di sentire il senso del mio camminare: ci sono momenti in cui davvero sento la potenza e l'importanza nella mia vita dell'incontro con queste persone. A volte esco dal carcere e mi sento così fortunata e grata alla vita, tanto da aver bisogno di piangere.

Stessa cosa succede con i bambini, che con i loro abbracci e i loro baci mi fanno ricordare quali sono le cose veramente importanti della vita e soprattutto “di che cosa è fatta la felicità”!

Per circa un mesetto ho accompagnato tutte le settimane la Clarita dal dermatologo, perchè le mani erano coperte di verruche, anche molto grandi. Ci davamo appuntamento davanti al carcere alle 9,30 per andare a prendere un mezzo verso Calacoto (Zona Sud di La Paz) dove c'è l'ambulatorio del medico. E nonostante la Clarita viva in una cella dove il padre la notte beve con gli amici, e al mattino non si sveglia prima di mezzogiorno, questa “piccola donna” mi ha dimostrato una grande responsabilità e capacità di autonomia: sempre puntuale all'incontro, sempre pulita, pettinata e ordinata, con la sua cartella di scuola a tracolla (nel caso facessimo tardi e non riuscissimo a rientrare in carcere per l'ora di pranzo): che tenerezza… pensavo a lei, che la sera si prepara i vestiti e quello che le serve per il giorno dopo, che si sveglia da sola e nel buio raccoglie le sue cose cercando di non inciampare su qualcuno (chissà chi?) che sta dormendo sul pavimento, che va da sola al lavandino della sezione a lavarsi la faccia e bagnarsi i capelli e poi al cancello del carcere a chiedere di uscire ai poliziotti in servizio: 8 anni.

Un giorno la vedo che mi aspetta sulla panchina del giardino di fronte al carcere e la noto un po' pallida e spenta. “Clarita, come stai? Tutto bene?” lei scoppia a piangere e mi abbraccia: “Sono stata male 2 giorni, ho mal di pancia…”. L'abbraccio e la coccolo, davvero non so che fare: torno in carcere e la porto da suo padre o andiamo dal dermatologo e magari chiedo consiglio? Beh, visto che suo padre non si è degnato di farla vedere da un medico, decido (anche se un po' preoccupata) di portarla lo stesso dal dermatologo. Nel minibus si siede sulle mie gambe e si addormenta fra le mie braccia esausta, come se crollasse dal sonno dopo due giorni di sofferenza, mi scende una lacrima mentre la guardo e le accarezzo la testa, sento che ha la febbre.

Per fortuna il Dottor G.M. è una persona squisita, ama i bambini e ha un cuore grande (sta visitando gratuitamente i bambini del San Pedro che gli porto nel suo ambulatorio privato) e si è già affezionato a Clarita, soprattutto dopo aver visto il suo coraggio e la sua grande pazienza mentre le toglieva le verruche dalle manine (ha solo fatto un “ahi!” quando le ha tolto la più grossa, che poi ha sanguinato per un bel po'). G. le misura la febbre: 38 e mezzo. Decide di non togliere nessuna verruca per quel giorno e chiamiamo subito un pediatra descrivendogli la condizione di Clarita. Prendo nota dei farmaci che dobbiamo comprare e Clarita mi dice in un orecchio “Barbara, io ho fame!” “Bene! Buon segno!”
Andiamo in un bel bar e Clarita si mangia un panino col pollo: cucciola! Non vi so dire cosa mi ha attraversato il cuore, ma vedere questa bambina “stare” nel suo malessere senza lamentarsi troppo e reagire ascoltando i segnali del suo corpo senza aspettare che qualcuno “la imbocchi”, davvero mi ha fatto una tenerezza immensa.
E nuovamente penso che queste esperienze sono il sale della mia vita, che cerco di “spendere” giorno per giorno senza “fare economia”!

Luis Espinal ha scritto una preghiera bellissima, che ad un certo punto dice: 

Spendere la vita è lavorare per gli altri, anche se non ti pagheranno;
fare un favore a chi non te lo restituirà;
spendere la vita è lanciarsi nuovamente in un fallimento, se dovesse servire, senza false prudenze…
Siamo torce che hanno senso solo se bruciano,
solo allora saremo luce…

Aggiungo che in ogni caso, “lavorare per gli altri” e “bruciare come torce” ti porta sempre un dono, un insegnamento, una consapevolezza in più – e questo non ha prezzo!

Un abbraccio a tutti dalla vostra 

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